IL DESTINO E LA MAGIA DI UN LUOGO MERAVIGLIOSO

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Il luogo di cui vi voglio parlare oggi è frutto di un week-end gentilmente regalato dalla mia compagna per l’anniversario della mia età anagrafica.
Castelluccio è una località situata al confine tra le Marche e l’Umbria a 1400 metri di altezza ed è caratterizzato da una piana molto simile a un lago svuotato.La punta massima della sua bellezza, su cui si poggia gran parte dell’economia locale, viene raggiunta durante la fioritura delle lenticchie tra maggio e luglio. Purtroppo nel 2016 il paese, che fa capolino sulla piana, è stato distrutto dal terremoto che ha interessato un po’ tutta la zona, ma nonostante questo avvenimento catastrofico la gente del luogo si è rimboccata le maniche combattendo contro il tempo e soprattutto contro la burocrazia e ha riaperto diverse attività. Per arrivare in questo luogo meraviglioso, partendo dalla costa Adriatica, si sfiora Ascoli e si prosegue seguendo le indicazioni per Forca di Presta. Una volta arrivati nella vallata si iniziano a vedere le conseguenze del terremoto.
Arquata del Tronto e Pretare sono i due paesi che si devono attraversare per poter arrivare a Castelluccio; lo scenario è apocalittico e vi assicuro che non esagero. Cumoli di macerie ovunque e le fantomatiche casette prefabbricate riunite in un angolo come un piccolo “villaggio vacanze” abbastanza inquietante.Ho capito cosa vuol dire vedere le immagini passate e filtrate dalla tv o dai social rispetto al trovarsi calati fa effetto e fa male.Superati questi due paesi ci si avvicina alla meta passando in mezzo ai monti Sibillini, uno spettacolo della natura in una giornata di sole che illumina la vallata e ci guida verso il cuore della piana.Dopo aver attraversato l’ultimo valico ci si apre davanti agli occhi il paradiso, il fiato viene mozzato e tenere gli occhi sulla strada diventa assai complicato. Per arrivare al paese di Castelluccio c’è una strada che attraversa questo lago asciutto dove si possono vedere cavalli e mucche al pascolo in un silenzio spezzato solo dal vento.

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Purtroppo arrivati al paese la situazione è identica o simile agli altri due paesi citati in precedenza: macerie alternate a case e negozi aperti messi in sicurezza. Negli occhi degli esercenti si percepisce la voglia di riemergere, propongono i loro prodotti molto invitanti e sponsorizzano la regina del luogo, la lenticchia. Continua a leggere

“Che te brilet de luntan…” Milano vista dal quarto piano

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Sono solo due mesi, ma sono cinque anni che frequento il paese dell’hinterland.

Io milanese senza tangenziali, io milanese tutta semafori e zona est, io milanese da bicicletta anche in corso Buenos Aires a mio rischio e pericolo, da due mesi e per amore, solo per amore, vivo nel paese dell’hinterland.

Il paese ho scoperto estendersi solo per 5,4 chilometri quadrati. L’ho scoperto meno di una settimana fa e la cosa mi ha intenerita e rassicurata tantissimo, è come un sacchetto di confetti, come un paniere di uova.
E ho capito che lo conosco e lo so girare tutto, che posso correrci e camminarci in poco tempo. E la cosa mi piace. È lì davanti a me, con angoli da scoprire ma facili da raggiungere.
Il paese dell’hinterland dove abito ha il pregio di essere paese davvero, e per essere alle porte di Milano essere paese davvero per me è un pregio. Non è un dormitorio, ha la via pedonale e non manca niente, ha le librerie e la vecchina di ceramica che ha la vetrina con i barattoli di caramelle, ha i parchi con le dediche ai partigiani. Ha quell’aria di Milano che arriva e che senti nei vecchietti che parlano in dialetto mentre stanno seduti al bar latteria. Milano la respiri e io la vedo dalla finestra, uno skyline perfetto. Continua a leggere

Cuba 1998. Cronaca di una vacanza unica e indimenticabile, seguendo il ritmo di una terra straordinaria

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Dopo tanto tempo passato in silenzio, ridiamo vita al nostro blog con un bel racconto di un amico molto caro, di una vacanza di gioventù nella conturbante Cuba.

Hasta la victoria siempre!

 

Sono passati esattamente vent’anni, ma il ricordo di questo paese è ancora vivissimo e indelebile.
Dopo aver vagliato diverse possibilità di vacanza io e altri 2 amici sentimmo la necessità di cambiare stile di viaggio, la meta caraibica per diversi anni ci sfiorò più e più volte ma senza lasciare il segno: questo sarebbe stato l’anno giusto. A maggio comprammo il biglietto aereo con partenza 2 agosto 1998. Bisogna far conto, anche se pare assai strano, che il passa parola all’epoca era l’internet attuale, quindi ci documentammo tramite amici e conoscenti che avevano fatto la stessa esperienza, più che altro per la burocrazia da affrontare in un paese con regole rigide ma non insormontabili. Dopo circa 12 ore di volo arrivammo all’Avana, un caldo umido ci avvolse appena scesi dalla scaletta dell’aereo e ci rendemmo conto subito che il passaggio temporale e subito dopo sole e umidità, ci avrebbe accompagnato per tutta la vacanza. Ci vollero 3 ore per passare i controlli e fummo costretti a dichiarare un alloggio inventato perché a Cuba senza una locazione precisa non ci si poteva stare: quindi hotel International Havana per tutti. Ovvio che i militari addetti ai controlli non sono stupidi, non stavano semplicemente a fare i fiscali, vi assicuro però che il controllo passaporti metteva un filo di ansia: specchi di controllo davanti e dietro di te, domande secche e intimidatorie, più un fucile spianato dalle guardie di fianco al passaggio stretto e obbligato vicino al recupero bagagli. In realtà nonostante le apparenze il turista a Cuba può fare quasi quello che vuole. La nostra destinazione non era subito L’Avana ma bensì Varadero, in pullman. Arrivati in quel di Varadero e non avendo un luogo dove alloggiare, iniziammo la ricerca insieme ad altri italiani di una famosa casa “particular”, case private in cui i cubani ospitavano allora i turisti rischiando però il carcere (oggi invece ci sono le case particular ufficiali). Trovammo una famiglia che ci accolse per pochi dollari al giorno. La mattina dopo mi svegliai con tre bambini che mi guardavano di nascosto che ridevano come matti, li salutai e gli chiesi come si chiamavano, il più piccolo senza dire una parola mi prese per mano e mi portò in cortile dove c’era un tavolo pieno di frutta fresca profumata e già sbucciata. La loro ospitalità era esemplare, nonostante le evidenti condizioni economiche disagiate fecero di tutto per farci stare come fossimo in un albergo a 5 stelle. Mentre mi avventavo sulla colazione fui distratto da un rumore assordante proveniente dal retro della casa, andai a vedere di cosa si trattasse, e vidi una lavatrice fatta interamente con il motore di una macchina, sì, avete capito bene, una macchina, il mezzo di trasporto a noi comune adattato in maniera geniale a lavatrice, fantastico. Magari non era a zero impatto ambientale ma da lì in poi capii meglio lo spirito di adattamento di questo sorprendente popolo, pieno di contraddizioni ma con una dignità esemplare. Finita la colazione cercammo con molta fatica di comunicare il nostro arrivo in terra cubana ai nostri familiari, un’esperienza anche quella. Sentivo il centralino che faceva il numero di casa e chiamava i miei genitori chiedendo in spagnolo se avrebbero accettato la chiamata e dopo vari tentativi persi riuscii a dire che ero arrivato e stavo bene. Ci vollero diversi giorni per adattarci sia al clima sia ai ritmi, ma nonostante tutto afferrammo un concetto semplice e chiaro “esta es Cuba”. Queste tre parole furono la colonna sonora del nostro viaggio, per qualsiasi cosa che andava storta ci veniva risposto che quella era Cuba e nulla si poteva fare, un po’ come quando con i nostri dialetti in 2 parole si esprime un mondo. Continua a leggere

I found my love in Cinisello

Il bar più vicino all’ufficio è un bar dove non manderesti nemmeno il tuo peggior nemico. È a 5 minuti a piedi ed è l’unico, ripeto l’unico, posto dove fare una pausa, bere un caffè o se siete coraggiosi mangiare un panino nell’arco di chilometri.
Il piatto migliore è il panino di cane (quelli non sono salumi).
Per il resto casermoni con centri commerciali o casermoni e basta. Abbandonati.
Dal marciapiede spuntano ciuffi di erba tragica, spenta, orrenda quando non siringhe usate.
Dalla finestra vediamo un campo da calcio dove compare qualche bambino magro e pallido ogni tanto, un centro di addestramento cani che essendo una new entry attira la nostra attenzione manco fossimo davanti alle cascate del Niagara e qualche tazzina gigante delle giostre degli zingari parcheggiata qua e là.
Chi di noi è fortunato dalla finestra vede i cani saltare nei tubi e qualche ippocastano gradevole, gli altri, tipo me, vedono fabbricati in cemento, il cielo di latte che contraddistingue la zona e muletti e camion Bartolini che schizzano come dannati rischiando di uccidere chi scende nel cortile a fumarsi una sigaretta.
Il tutto corredato da un odore di copertone e vernice tossica. Almeno una volta c’era una fabbrica di dolci e l’odore riconciliava un po’ col mondo. Continua a leggere

Un posto segreto, ai confini della Toscana

Una persona del nostro cuore ci racconta il suo posto segreto, uno dei suoi posti del cuore. Qualche indizio, pochi a dire il vero, e tutto il resto lasciato all’immaginazione. Lo sentite il rumore degli alberi mossi dal vento? Noi sì!

She’s got a secret garden
Where everything you want
Where everything you need
Will always stay
A million miles away

(Secret garden, Bruce Springsteen)

 

Ci sono luoghi della vita che rimangono nel cuore e nella mente senza andarsene mai…
Sono diversi anni che conosco questo posto di villeggiatura nella più profonda Toscana, quasi al confine col Lazio e ogni volta riesce a sorprendermi.
La scoperta di questo posto merita la riconoscenza piena a una mia ex fidanzata, che tramite una guida di agriturismi ha puntato il dito quasi per caso su questo.
All’apparenza può sembrare un semplice agriturismo come se ne vedono a migliaia in quella zona, ma la differenza è fatta da chi lo gestisce, una famiglia molto unita che ha sposato il prodotto di qualità, di produzione propria e la buona, anzi, eccellente cucina.
L’anima della festa è sicuramente lei, Simonetta, la mamma e regina indiscussa dei fornelli che tocca il prodotto e lo trasforma in delizia per il palato.
Spesso e volentieri insieme alla mia fidanzata, quella attuale, ci divertiamo a fare classifiche sui ristoranti in cui abbiamo mangiato e, visto il numero di bigliettini da visita messi in un apposito raccoglitore, ci rendiamo conto che sono molti, ma nonostante aumentino lei, la regina dei fornelli, vince su tutti. Continua a leggere

Guerra e Pace in Lanzarote

Dio salvi gli amici, e a volte che te ne salvi.

Un mio caro amico (davvero caro, non parole a caso), verso febbraio mi propone un viaggio io e lui. Avevamo già fatto altre vacanze insieme, ma mai da soli. Il caro amico è tanto caro quanto volubile e io tanto cara quanto suscettibile, combinazione esplosiva. Decidiamo di aggiungere pepe al pepe e metterci un po’ di lava sotto il sedere, destinazione un’isola vulcanica: Lanzarote.

Avevo sempre snobbato le Canarie, mi pareva una meta da pensionati, ma per fortuna nella vita si cambia idea. Partiamo a fine maggio, cinque giorni, un volo seriamente low cost (60 Euro!) e una casa sul mare affittata su airbnb, e quando dico sul mare intendo che c’è una sola via d’accesso: la spiaggia, e tutt’intorno sparute case di pescatori del paesino di Playa Quemada.

Anticiperò la fine della storia: abbiamo litigato furiosamente, e una volta tornati non ci siamo parlati per dieci giorni; ma poi abbiamo bevuto un bicchiere di vino e abbiamo fatto pace e così ora siamo di nuovo liberi di rimandarci a quel paese, ma con affetto infinito.

Quindi, visto che la storia è a lieto fine, vale la pena raccontare della bella Lanzarote, del suo mare smeraldo, del suo tempo mutevole, dei suoi paesaggi lunari, delle sue onde per le quali i surfisti perdono la testa (anche se di surfisti, neanche l’ombra… mah).

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Italian Summer Blues

Brucia e continua a bruciare. Più di sempre mi pare. Sotto un cielo nitido e perfetto come solo qui abbiamo.
Il cielo del palio di Siena e del cono palla in riva al mare del Salento.
Quest’anno brucia tutto, le fabbriche in città, i boschi. Brucia la Riserva dello Zingaro e bruciano le aziende milanesi.
Poi grandina, grandina di cattiveria da un cielo nero. Grandina e crollano le temperature e si chiudono gli ombrelloni come a fine settembre.
Trema di nuovo tutto, le bambine si svegliano di notte, lo sentono subito, mi racconta un collega. Siamo di nuovo qui a tremare, quasi che le nostre montagne volessero scrollare tutti dalla groppa, come un cavallo pazzo, come a voler dare una sveglia terribile ai noi abitanti ottusi e beceri.
Parlano in continuazione di coltelli. Di gente ferita o uccisa. Le mamme sparano ai figli con una disperazione che nemmeno si può immaginare. I furgoni con una rabbia oscena uccidono i fidanzati in moto.
E poi brucia, pare quasi per eliminare questo scempio e questo male.
Bisogna pensare alle balle di fieno nei campi, agli ombrelloni a spicchi e alle vette verdi. Pensarci e concentrarsi per allontanarsi un po’ da questo male che si chiama Italia.
Bisogna pensare ai frigobar marroni alle tende delle porte dei bar a striscioline di plastica. Bisogna pensare alle magliette a righe, agli zoccoli di legno e al foulard in testa sennò ti viene un colpo con questo sole in spiaggia. Pensare a un paese di una vita fa.
Bisogna pensare ai tornei di calcio e di biglie e alle sagre di paese: del cinghiale, della visciola, delle lumache, del tortello, del carciofo, dell’anguria… che dio solo sa quante ne abbiamo.
Pensare a quelle estati così, che ancora ci sono per fortuna e ci aiutano a saltare l’ostacolo e a cercare nell’orrore di un paese che affonda un po’ di poesia.

Questa volta non ci sono ristoranti o abbigliamento da consigliare.
Ma una canzone sì.
Povera patria di Battiato

Due a zonzo meet l’uomo con la valigia

Dario Garberi, del blog collettivo di viaggiatori L’uomo con la valigia, ci ha contattato giorni fa chiedendoci un articolo per il suo sito. Poche battute per presentare e raccontare noi due a zonzo. Che ci crediate o no, questa cosa ci ha completamente svoltato le giornate.
Noi siamo così: ci abbattiamo con poco, ma riprendiamo quota ad altrettanta velocità. Dolcemente bipolari. Infinitamente grazie a Dario per averci lette, scelte, contattate, pubblicate.
Blogger di tutta la blogosfera, uniamoci, e che la forza sia con noi!

Ecco l’articolo, da leggere, commentare e condividere, grazie!

http://www.luomoconlavaligia.it/due-a-zonzo-alessandra-olivari-lorena-ansani.html

 

 

 

La prima vacanza a Ios non si scorda mai

Non so come fu, ma quell’anno ancora adolescenti e zaino in spalla i nostri genitori ci permisero di partire per tre settimane di Grecia. Io e le mie migliori amiche.

Aereo, rigorosamente posti fumatori, zaino, Superga e stereo sulla spalla, che a ripensarci dalla “tamarria” mi si accappona la pelle, ma poi, hai presente la scomodità di girare con i mezzi, lo zaino e lo stereo? Solo da adolescenti…

Prima tappa Atene. Scese dall’aereo a 140 gradi, nel luglio greco in perfetto stile studentesse milanesi con jeans e scarpe Superga cuoci-piede (io probabilmente avevo pure una polo bollente a maniche lunghe), fiere e libere, ci dirigemmo all’ostello di Atene. Che Guantanamo a confronto era l’Holiday Inn: doccia su una piattaforma di latta con bocchettone marcio, letti a castello tipo caserma e odore di vomito a causa di un’eccessiva assunzione di Metaxa e Ouzo data dall’euforia della prima serata ateniese. Il Partenone ovviamente visitato alle 14.00 con i soliti 140 gradi sciogli cervello. Noi sempre felici e invincibili.

Dopo la cottura dei giorni ateniesi, dopo aver rischiato lo stupro – che paura vera quella sera – e dopo la Plaka, il Museo archeologico e Syntagma square con vecchi indignati che additavano il tatuaggio uguale alla bandiera turca sul polso di Sara, lasciammo la capitale a bordo di un pullman e trasognate e intrise di cultura classica ci dirigemmo a Delfi.

Ora, io qui vorrei dire a voi lettori che nei vostri progetti di viaggio occorre che inseriate come prima tappa assoluta Delfi e il suo santuario. Anche se state partendo per l’Argentina. Fate tappa a Delfi. E’ il posto più mistico, unico, straordinario e secondo me vicino allo spirito dell’Antica Grecia che abbia visto.
Ho un ricordo magico, forse anche perché ci arrivammo dopo un lungo viaggio e quei giorni di caos ateniese stordente.
Dormimmo non so dove, sembrava un incrocio tra l’infermeria della scuola e un ricovero per viaggiatori. Di una semplicità disarmante. Ma fresco e pulito. Penso che dormimmo per 15 ore, in lettini uguali a quelli dei sette nani. Poi il santuario. Aria rarefatta di montagna, pochissimi turisti, natura e cicale. Un’atmosfera sospesa ed eterna. E nel museo il capolavoro della classicità, dell’armonia e della maestria e raffinatezza assoluta degli artisti greci: l’auriga di Delfi. Anche adesso a scriverne rivivo l’incanto di ragazza davanti a quel capolavoro indimenticabile.

Dopo due giorni di pace e misticismo ci rituffammo nel caos di Atene alla volta del Pireo per approdare finalmente a Ios, isola dello spasso e del divertimento dei giovani di tutta Europa.
Peccato che c’era lo sciopero dei traghetti.
Noi, prima volta in Grecia, abbiamo avuto il tempismo straordinario di scegliere di imbarcarci il giorno dello sciopero.
E così con le nostre scarpe puzzone, lo zaino in spalla e lo stereo pure, cercammo un campeggio di fortuna dove aspettare che le proteste ateniesi cessassero e potessimo finalmente iniziare la vera vacanza allo stato brado, dimenticando tutta la parte di lettere classiche e capitelli corinzi per abbandonarci al sole, al mare, ai ragazzi e ai balli sfrenati.
Ma intanto. Intanto l’orrore. Un campeggio fuori Atene, a Varkiza per la precisione, con più roccia che terra, dove per piantare un picchetto da tenda dovevi votarti alla Madonna. Risultato di quei primi giorni: pane e formaggio a pranzo e cena, dormire tra le briciole, corte serrata di sue sfigati brufolosi (e noi eravamo tre, chissà che fantasie) e zaini pisciati dai cani randagi. A quel punto lo sciopero era finito, ma il nostro entusiasmo, nonostante tutto, no.
Ci imbarcammo per Ios.
Sara fu importunata da un pope – una faccia, una razza, un cazzo – io guardavo il tramonto pensando a fidanzati e amori lasciati a Milano (no, uno non bastava) e Meri insieme a me scrutava l’orizzonte come se il suo amore fosse partito per il fronte.La mattina dormivamo sul pontile e Ios era passata. Avevamo perso la fermata.A quel punto, Meri con tutta la sua scorpionità litigò in italiano con un marinaio alto sei metri e grosso come Franchino, il fidanzato della signorina Silvani di Fantozzi, stesso irsutismo tra l’altro, imponendogli di fermare tutto e farci scendere.
E niente. Il marinaio rispose in greco, meglio non sapere cosa, alla mia amica mentre il portellone si chiudeva e Ios si allontanava. Spacciate. Frastornate e incredule rimanemmo imprigionate sul traghetto fino a Santorini, tappa stabilita per la fine della vacanza, che fummo costrette ad anticipare.
E per fortuna.
L’incanto di Santorini ci accolse senza pietà, non lasciandoci nemmeno una briciola di incazzatura dovuta al cambio di programma.Tre giorni, perlopiù passati a curarci le ustioni da sole e a girare in motorino rischiando la vita, cantando a squarciagola e ingoiando moscerini, travolte dalla bellezza di un paesaggio da togliere il fiato.
E al quarto giorno Ios. Finalmente.
E prima di Ios l’amore. Quello di Sara per uno splendido vichingo incontrato in traghetto che ricambiò l’amore, scese a Ios e le fece passare giorni di passione, mentre Meri e io fuori dalla tenda del mitico campeggio Far Out a notte fonda aspettavamo che insomma, sì, ecco ci siamo capiti.

Furono dieci giorni di sballo. Colazione con vodka e succo di arancia, pranzo con Marlboro rosse e cena con pytagiros ripieno di “cane” e cipolla. E poi baci a raffica con tutti, danze allo Sweet Irish Dream, chiacchiere infinite, risate e innamoramenti di una sera. Dieci giorni di libertà assoluta, di piedi scalzi e gonne svolazzanti. Dieci giorni di amicizia e condivisione pure. Una vacanza penso ancora oggi essere stata la più bella e vera della mia gioventù e che ha messo il sigillo sull’amicizia meravigliosa tra me, Sara e Meri.

Abbigliamento: Superga, gonnellina e canotta e ovviamente cordino (piccola borsa di tela contieni-tutto da portare a tracolla e dimenticare su pullman e in locali, come ci accadde di ritorno da Delfi)

Canzone: Sweat di U.S.U.R.A. pieni anni 90,

di Claudio Bisio

Libro: questa volta tocca sostituirlo con un film e non può che essere Mediterraneo, che ancora oggi cito a memoria e mi fa ripensare a quegli anni

Cibo: moussaka per Meri, insalata greca per Sara e souvlaki e tzatziki per me

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Fenomenologia della partenza

L’infanzia.

Quand’ero piccola le partenze erano sempre notturne. C’era mia mamma che mi prelevava direttamente dal letto e mi avvolgeva in una coperta o in una felpa di mio papà, io che facevo finta di dormire, mentre l’eccitazione era tale che ero già vigile, pronta all’avventura che la notte rendeva ancora più irresistibile, quasi una fuga clandestina.

Ben avvolta nel mio bozzolo (neanche mia mamma sfuggiva al terrore dei colpi di freddo, pure in pieno agosto, ché non si sa mai) me ne stavo sdraiata sul sedile posteriore, e guardando fuori dal finestrino mi godevo la scoperta del mondo ancora addormentato, che era un po’ come il contrario della presa di coscienza che babbo natale non esiste: era la prova tangibile che dietro alla realtà di tutti i giorni ne esisteva una che solo pochi conoscevano e che sapeva di magia.

 

Abbigliamento: pigiama e bozzolo.

Colonna sonora: i miei erano genitori giovani. In macchina si ascoltava Rod Stewart, Tina Turner, Dire Straits, Phil Collins e varie hit anni ’80.

Mangiare: michetta con il prosciutto cotto.

Libro: se leggevo in macchina, vomitavo. Anche adesso è così. Però leggere era uno dei miei massimi piaceri. Anche adesso è così. E un libro non mancava mai. Anche adesso è così. Allora, la felicità era data soprattutto dal colore giallo paglierino della collana Gl’Istrici della Salani/Longanesi. La collana nasceva nel 1987, il mio primo anno di scuola. Autore preferito: Bianca Pitzorno. Ma ricordo anche altri amori: Mario Lodi, Cipì. E ancora: Gianni Rodari, C’era due volte il barone Lamberto, la Mafalda di Quino…

 

 

L’adolescenza.

I miei viaggi senza genitori sono iniziati nell’epoca pre-internet.

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